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"Il Processo ai Chicago 7"

Quest’anno voglio fare sul serio, sennò non avrei già visto il secondo dei film candidati in soli tre giorni.

Avendo visto un nominato al premio per l’animazione, a questo giro ho voluto vedere un’opera con attori in carne e ossa: “Il Processo ai Chicago 7”.

La prima ora non ha catturato in pieno il mio interesse, ma ho tenuto duro perché non lascio niente incompiuto…e ho fatto benissimo: la parte restante del film mi ha tenuto incollato peggio di una passata di Super Attak.

Non so se sbilanciarmi così tanto…ma potrebbe vincere più di un premio, alla Cerimonia degli Academy Awards.


“Il Processo ai Chicago 7” (in originale “The Trial of the Chicago 7”) è un film drammatico e storico americano, scritto e diretto dal Premio Oscar Aaron Sorkin (“The Social Network”).


Il cast è pieno di nomi.

Cominciamo con i “Chicago 7”, ovvero gli imputati al processo: Tom Hayden (il Premio Oscar Eddie Redmayne) e Rennie Davis (Alex Sharp) dell’organizzazione attivista studentesca “Students for a Democratic Society” (Studenti per una Società Democratica); Abbie Hoffman (Sacha Baron Cohen) e Jerry Rubin (Jeremy Strong), membri fondatori degli Yuppies, o “Partito Internazionale della Gioventù”; David Dellinger (John Carroll Lynch), leader del Comitato di Mobilitazione Nazionale per la Fine della Guerra nel Vietman; Lee Weiner (Noah Robbins) e John Froines (Daniel Flaherty), due ragazzi partecipanti alle manifestazioni e reputati responsabili delle rivolte, insieme agli altri menzionati prima.

Poi ci sono i due avvocati difensori, Kunstler (il Premio Oscar Mark Rylance) e Weinglass (Ben Shenkman), il procuratore Schultz (Joseph Gordon Levitt) e il giudice Hoffman (Frank Langella).

Altri personaggi importanti sono Bobby Seale (Yahya Abdul-Mateen II), capo del Partito delle Pantere Nere e altro imputato; Ramsey Clark (Michael Keaton), ex procuratore generale degli Stati Uniti, e Fred Hampton (Kelvin Harrison Jr.), socio di Seale.

I personaggi sono tanti. Inizialmente possono confondere il pubblico, soprattutto perché vengono presentati TUTTI nei primi minuti. Io ho avuto serie difficoltà a distinguere ogni personaggio dell’altro, dopo l’esplosione iniziale.

Poi con il trascorrere delle scene, sono riuscito a inquadrarli tutti.

I sette imputati sono dei personaggi davvero particolari, ognuno ben delineato: abbiamo il leader giovane e cazzuto (Tom), il braccio destro più timido e impaurito, di cui si capiranno benissimo le motivazioni dietro il suo carattere (Rennie), il folle comico (Abbie), l’incazzoso con i nobili ideali (Jerry), il diplomatico e pacifico (David) e i due che sembra siano capitati per caso in mezzo agli eventi del film (Lee e John). Questi ultimi sono esilaranti: sono legati agli altri protagonisti, ma per tutto il tempo appaiono come pesci fuor d’acqua.

Il procuratore e gli avvocati difensori sono ottimi professionisti: svolgono il loro lavoro, ma non si vergognano a riflettere sull’effettiva colpevolezza o innocenza degli imputati, anche andando contro il loro ruolo.

Il giudice Hoffman è tutto un altro discorso. Fa schifo. Non solo è un uomo pieno di pregiudizi, ma è anche rimbambito e incompetente. Sentirlo sbagliare i nomi ripetutamente è divertente, ma vederlo svolgere un ruolo di cacca fa veramente vergognare: il suo atteggiamento è comunque attuale, nonostante siano passati più di 40 anni dagli eventi del film.

Ultimo, ma non meno importante, è Bobby, altro imputato ma costretto a non poter esporre la sua versione dei fatti a causa di un sistema giuridico non a suo favore e di un giudice scorretto, essendo l’unico a essere nero. Anche la sua posizione è tremendamente attuale, soprattutto nel contesto statunitense, basti vedere gli ultimi eventi (Black Lives Matter).

I personaggi sono davvero ben interpretati, soprattutto i ruoli protagonisti: Redmayne ricorda a tutti perché ha vinto un Oscar (sebbene non riesca ancora a staccarsi di dosso i suoi manierismi un filo stucchevoli), così come Rylance, ma la grande scoperta, per me, è Baron Cohen, attore che non ha mai incontrato la mia simpatia, a causa dei precedenti film in cui è stato coinvolto. Qui non solo mi ha fatto ridere con la sua follia, ma ho tifato tantissimo per la sua innocenza.


Il film narra eventi accaduti realmente: tutto comincia con i sette imputati che si preparano per manifestare alla Convention dei Democratici, nel 1968.

Si passa poi direttamente al processo che li vede coinvolti per istigazioni a rivolte e congiure. Mentre i loro avvocati difensori cercano di dimostrare la loro innocenza, noi del pubblico abbiamo modo di scoprire, mano a mano, cosa è accaduto durante le proteste, tanto da portare all’arresto dei protagonisti.

Mi è piaciuto molto questo modo di tornare indietro per ricostruire la vicenda principale: a mio parere, ha permesso ad alcuni colpi di scena di essere più efficaci. Ciò nonostante, la prima oretta di film è stata un po’ tosta da reggere, ma alla fine la storia ha raggiunto il massimo della scorrevolezza.

La parte finale è veramente emozionante: come in un giallo, ci sono rivelazioni e colpi di scena. Contro ogni mia aspettativa, viste le premesse, mi sono pure commosso negli ultimi minuti.

Ho apprezzato molto anche il perfetto alternarsi tra momenti più drammatici e altri più comici.

I messaggi contenuti in questo film sono ancora attuali…ed è grave. La guerra è veramente così necessaria per la società? Perché alcune minoranze devono essere ancora vittima di pregiudizi e mancanze di diritti, in confronto all’etnia predominante? Queste domande sono sacrosanta nel 1968 e lo sono tuttora, nel 2021.

Da buon ignorante in materia, ho reputato questo film veramente educativo: non ero a conoscenza di questi eventi in particolare, nonostante avessi ben presenti i contesti intorno a essi.


La sceneggiatura è davvero tanta roba: la storia è ben articolata, in grado di coinvolgere sempre di più, grazie anche a dialoghi arguti (un colpo di scena in particolare mi ha lasciato sorpreso).

I personaggi sono tutti interessanti, alcuni dei quali davvero ben sviluppati. Avrei voluto sapere di più su alcuni di loro, ma vabbè poco importa.


Gli abiti di fine anni ’60, dal punto di vista di un ignorante nel campo dei costumi, aiutano meglio ad immergersi nella storia e nel periodo temporale.

Quasi tutto il film è ambientato nel tribunale: sembra di far parte dei giurati o dei semplici spettatori dell’evento.

La colonna sonora riesce a coinvolgere anche emotivamente, soprattutto negli ultimi minuti.

Nonostante ami il doppiaggio italiano, sto vedendo i film candidati all’Oscar in lingua originale, così da migliorare le mie skill inglese, ma anche per apprezzare al meglio le varie parlate dei personaggi.


Non sono un grande fan di film o serie TV concentrati su eventi giudiziari (mi annoio facilmente). Infatti, la prima parte di “Il Processo ai Chicago 7” non mi ha coinvolto a pieno, ma poi, grazie anche a un mix fantastico di sceneggiatura scritta bene, storia in grado di far riflettere e protagonisti ben interpretati, non mi sono staccato dallo schermo per nessuna ragione.

Attualmente, il film è candidato agli Academy Awards/Premi Oscar nelle seguenti categorie: Miglior Film, Migliore Attore non Protagonista (Baron Cohen, nomination BEN meritata), Migliore Sceneggiatura Originale, Migliore Fotografia, Migliore Canzone Originale (“Hear My Voice”) e Miglior Montaggio.

Riguardo alcune categorie, ancora non credo di potermi esprimere, ma sarei felicissimo se dovesse aggiudicarsi il premio per la sceneggiatura e per la performance di Baron Cohen. Ho anche il presentimento che potrebbe vincere la statuetta per il Miglior Film.

RedNerd Andrea

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