Era da un po’ di tempo che non guardavo qualcosa di horror inedito. Sempre e solo rewatch di cose già viste e riviste.
Sinceramente, ormai escono poche cose interessanti, riguardo questo genere. Non mi piace vedere storie di possessione, bambole maledette e roba del genere, mi sanno di commercialata.
Netflix, tuttavia, ha deciso di rinnovare il genere slasher, rilasciando in poche settimana una trilogia di film horror: “Fear Street”.
Di certo, non mi aspettavo di vedere un prodotto innovativo e originale. Sono rimasto molto sorpreso, però. In positivo.
Netflix, per favore: più roba come “Fear Street” e meno ciofeghe come le ultime stagioni di “Tredici”.
La trilogia di “Fear Street”, diretta da Leigh Janiak, comprende film di genere horror che abbracciano numerosi stili, specialmente il paranormale e lo slasher. Ogni capitolo è stato rilasciato sulla piattaforma streaming in tempi di distanza molto rapidi dall’altro: praticamente, un film a settimana. I lungometraggi, sottotitolati “1994”, “1978” e “1666”, sono ispirati all’omonima serie di libri, scritta da R. L. Stine.
La trilogia presenta diversi protagonisti, ma possiamo reputate Deena (Kiana Madeira) la più ricorrente, visto che appare in tutti i film. La giovane liceale è costretta a combattere una presenza maligna che opprime Shadyside da secoli, aiutata dal fratello Josh (Benjamin Flores Jr.), dagli amici Simon (Fred Hechinger) e Kate (Julia Rehwald) e dalla ex fidanzata Sam (Olivia Scott Welch). Altri personaggi importanti, per quanto riguarda la parte ambientata nel 1994, sono lo sceriffo Goode (Ashley Zukerman) e la signora Lane (Jordana Spiro).
Il secondo film, ambientato nel 1978, vede come protagoniste le sorelle Ziggy (Sadie Sink) e Cindy (Emily Rudd), occupate a cercare di sopravvivere a un nemico simile a quello di Deena.
Il capitolo finale è ambientato sia nel 1994, dando una conclusione all’intero ciclo narrativo, che nel 1666, dove assistiamo alla nascita di tutta la storia tramite gli occhi di Sarah Fier. In questo film, molti dei personaggi vengono interpretati da attori già comparsi nei film precedenti.
Il cast è molto interessante. I personaggi appartengono a determinati cliché, ma sono comunque dotati di una buona caratterizzazione e di abbastanza carisma, quindi riescono a non essere banali. Le protagoniste, Deena, Ziggy e Sarah, hanno un bel carattere, quindi si scongiura la sfiga di avere a che fare con delle potenziali final girl banalissime. Che io ricordi, l’ultima final girl cazzuta che abbiamo avuto è stata Sidney (Neve Campbell) nella quadrilogia di “Scream”.
Felicissimo di aver rivisto Sadie Sink fuori dal limitato mondo di “Stranger Things”, anche se il suo personaggio è abbastanza simile a quello interpretato nella serie TV.
Sempre parlando di “Stranger Things”, appare anche Maya Hawke all’inizio del primo film, in una scena che omaggia molto bene l’iconica apparizione di Drew Barrymore nel primo “Scream”.
Anche i personaggi secondari sanno essere piacevoli, non delle mere carni da macello per i killer. Ho tifato di cuore per la sopravvivenza di alcuni di loro.
Ogni film è ambientato in un periodo temporale diverso, nonostante resti comunque collegato al 1994, teatro del primo film e della storia principale. Possiamo definire i film successivi al primo un “prequel nel prequel”. Questa struttura risulta interessante, in quanto ogni film fornisce dettagli aggiuntivi in grado di dare una visione maggiore alla trama complessiva della storia.
Tutto comincia con una serie di omicidi nella sfortunata cittadina di Shadyside, nel 1994, che ricorda molto altri massacri avvenuti nei decenni precedenti. Rimasta coinvolta in prima persona, Deena decide di indagare a fondo, scoprendo che tutto potrebbe essere partito dalla maledizione di una strega…
“1978” porta in scena uno dei numerosi massacri avvenuti a Shadyside, fornendo però dettagli aggiuntivi utili per risolvere il mistero della presunta strega, enigma che verrà ancora di più approfondito in “1666”, capitolo che funge da finale per tutto.
Nonostante questa natura da prequel palesi alcuni punti della trama già dall’inizio, il secondo e il terzo film non sono da meno, grazie anche ai loro stili diversi: si parte con “1994” che è un mix tra paranormale, giallo e slasher; “1978” omaggia a pieno il genere slasher portato dai classici come “Venerdì 13” e “Halloween”, mentre “1966” porta in scena maggiormente l’atmosfera paranormale, con un finale in salsa action).
In sintesi, “Fear Street” è lontano dall’essere monotematico. Ci sono anche colpi di scena abbastanza inaspettati, soprattutto perché la storia va contro determinati cliché del genere horror. Sono dei film veramente scorrevoli e semplici da capire, nonostante la trama intricata a livello temporale.
Il mio unico, vero appunto riguarda i dettagli della trama generale. Ogni massacro introdotto nei film sembra molto interessante, visto che avviene in contesto temporale diverso. L’appassionato horror in me avrebbe voluto vederli tutti dall’inizio alla fine, come quello avvenuto nel 1978. Se fossi in Netflix, proverei a creare una serie TV antologica, in cui ogni episodio rende protagonista ognuno dei massacri di Shadyside.
Sceneggiatura molto buona, dialoghi simpatici e coinvolgenti. Sarò ancora rimasto traumatizzato dalla porcheria di “Tredici”, ma non mi aspettavo un lavoro apprezzabile in una produzione Netflix con target adolescenziale.
La storia scorre e non è troppo intricata, nonostante i diversi salti temporali. I personaggi sono interessanti, alcuni sono ben caratterizzati.
Mi aspettavo un livello di violenza e sangue poco alto, visto il target…e invece gli omicidi sono molto cruenti e rappresentati in maniera molto grafica. Il sangue scorre che è una meraviglia, alcune scene le ho ritenute troppo forti, nonostante abbia già visto di tutto e di più.
Non ci sono molti jump scares, ho notato un lavoro maggiore nel realizzare scene di ansia psicologica. Secondo me, hanno fatto bene. Io non mi sono spaventato molto, ma ho provato molta ansia.
A livello estetico, i film sono molto piacevoli. Ogni periodo storico è rappresentato bene e le ambientazioni trasmettono molta ansia, soprattutto il villaggio del 1666.
I primi due film fanno uso pesante di musiche d’epoca. Da un lato mi ha fatto piacere, soprattutto quando riconoscevo delle canzoni familiari, ma a volte c’era un cambio musicale ogni minuto e ha cominciato a irritarmi. Manco i musical infilano 500 canzoni all’ora.
La trilogia di “Fear Street” è la prova che i film horror, se fatti bene, riescono ancora ad attirare pubblico. Grazie al suo mischiare bene diverse influenze horror e a dei personaggi che non sembrano dei semplici elementi d’arredo, ogni capitolo della trilogia riesce a farsi valere in maniera individuale.
Io, se fossi in Netflix, valuterei l’idea di una serie antologica in cui ogni episodio narra un massacro di Shadyside. L’importante è che mantengano alta la qualità, sennò può rimanere solo un desiderio nella mente di chi ci spera.
Ah…qualcuno scritturi Maya Hawke in uno slasher. Potrebbe rivelarsi una final girl o scream queen promettente.