Si continua con la riproposta della serie TV horror “Slasher”. Oggi è il turno della seconda stagione, “Guilty Party”.
Ero già rimasto impressionato da alcune cose della stagione precedente (anche se era lontana dall’essere tanta roba), quindi avevo aspettative abbastanza alte.
8 episodi divorati in meno di due giorni. Esperienza breve ma intensa. L’ho apprezzata molto ma molto di più della prima stagione per molti motivi. Si è rivelata una vera sorpresa.
Trama: I giovani Peter, Dawn, Susan, Noah e Andi organizzano un “processo” contro Talvinder, una loro collega al campeggio, tenuto al Campo Motega. Tuttavia qualcosa va storto e la ragazza muore. Cinque anni dopo, i ragazzi, minacciati da un progetto di espansione dell’area del campeggio, tornano nel luogo dell’incidente per eliminare le prove e trovano la zona occupata da una comunità spirituale. L’atmosfera apparentemente pacifica del posto farà presto spazio a paranoia e diffidenza, mentre uno spietato killer prende di mira i due gruppi…
Creata da Aaron Martin e uscita nel 2017, questa nuova stagione di “Slasher”, sottotitolata “Guilty Party”, a differenza di quella precedente, è un’esclusiva Netflix poiché ne ha acquistato i diritti.
La seconda stagione presenta storia e personaggi totalmente nuovi.
Il cast è formato da volti non noti, almeno per me. Alcuni attori tornano dalla prima stagione, sebbene in ruoli differenti, come Christopher Jacot (Robin), qui nel ruolo di Antoine, leader della comunità spirituale che ora occupa i dintorni dell’ex campeggio, e Dean McDermott (il capo della polizia) in una breve apparizione.
I cinque giovani disgraziati sono interpretati da Lovell Adams-Grey (Peter), Kaitlyn Leeb (Susan), Rebecca Liddiard (Andi), Jim Watson (Noah) e Paula Brancati (Dawn). Anche questi ultimi due sono apparsi nella prima stagione, ma non me li ricordo proprio. Sicuramente qui hanno avuto più spazio.
Tra i membri della comunità spirituale, ci sono invece Renée (Joanne Vannicola), Judith (Leslie Hope), Wren (Sebastian Pigott) e Keira (Madison Cheeatow).
I personaggi inizialmente sono abbastanza stereotipi, soprattutto nel caso dei cinque protagonisti: Andi sembra la brava ragazza, Peter il maschio Alpha, Susan la paranoica, Noah il cretino e Dawn la stronza. Ergo, mi stavano già tutti sulle scatole. Col passare del tempo, invece, impariamo a conoscerli meglio e cogliere alcune sfumature inedite, finendo persino (nel mio caso) per rivalutare alcuni di essi. Solo il giudizio su Peter non è cambiato: insulso era e insulso è rimasto. Anche i membri della comunità sono interessanti, tutti pacifici, disponibili e favorevoli agli abbracci, ma ovviamente anch’essi nascondono dei tremendi segreti. Proprio come nella prima stagione, “Slasher” conferma il detto “Er più pulito c’ha la rogna”. Nemmeno Talvinder (Melinda Shankar) è una santa: probabilmente la odierete subito in molti.
Una cosa che ho apprezzato molto è l’impossibilità di trovare un vero e proprio protagonista: non gira tutto intorno a un solo personaggio, ma si può notare una distribuzione di scene uniforme tra molti di loro.
La storia è banale: dei ragazzi commettono accidentalmente un omicidio e ne pagano le conseguenze cinque anni dopo. L’inizio è un palese riferimento a film come “So cosa hai fatto”. Sinceramente ero scettico al pensiero che una storia così lineare e semplice potesse durare 8 episodi da 50 minuti ciascuno, quando nei film dura anche meno di un’ora e mezza. Infatti alcune scene sembrano più un modo per far rientrare la storia nella durata prestabilita. Tuttavia, un ottimo alternarsi tra flashback e eventi presenti rende la maggior parte della trama molto scorrevole.
Mi è piaciuto molto come è stata affrontata la morte di Talvinder: mostrata in pochi minuti nel primo episodio, viene sempre più approfondita con il passare degli episodi, mostrandoci lati nascosti sia della vittima che dei suoi assassini, nonché le cause che hanno spinto all’organizzazione del processo fatale. Scelta molto intelligente.
Anche gli omicidi, a sorpresa, non sono del tutto prevedebili. Di solito vengono prima uccisi i secondari, per poi passare ai protagonisti.
E invece no. Preparatevi a salutare prematuramente dei personaggi all’apparenza importanti. Alcune volte ci sono rimasto di sasso.
Anche quando pensiamo che l’ordine delle uccisioni possa diventare prevedibile a causa di un certo elemento facilmente sgamabile, gli sceneggiatori tirano fuori alcuni assi nella manica.
L’episodio finale, stavolta, mi è piaciuto. La rivelazione non è stata del tutto banale e non mi sarei mai aspettato un certo colpo di scena. Sono stato in preda all’angoscia per tutto il tempo e non tutto è andato secondo le mie aspettative. Il finale l’ho trovato abbastanza originale.
Carino il contrasto dei flashback ambientati in primavera/estate con il presente, ambientato in inverno.
Sceneggiatura buona. I personaggi hanno dei dialoghi decenti, per essere uno slasher. Ci sono alternanze tra scene fortemente horror, serie e ironiche. Alcune scene, anche qui, sono un pochino melodrammatiche, ma niente di terribilmente pesante.
Come già detto, alcuni momenti sono noiosi, ma l’atmosfera horror è stata gestita molto bene. Molte aggressioni avvengono di notte, in un luogo isolato dal resto del mondo, e sono inaspettate. Potete incappare in alcuni jumpscares, ma dipende dalla vostra reattività. Alcune, invece, avvengono di giorno, scelta non banale.
Il livello di violenza è alto: non c’è nessuno che muoia sereno e senza perdere flotte di sangue. Il gore sembra azzeccato, in alcuni omicidi, ma ammetto che qualche volta hanno esagerato con sangue e affini, ho girato la testa un paio di volte. Non ci sono tantissime simbologie, in questa stagione.
Il killer è un personaggio sfruttato bene. Personaggio molto creativo nelle uccisioni (usa diverse armi), si dimostra dinamico e pericoloso sin dal primo omicidio, attaccando un personaggio (per me) inaspettato e in maniera davvero cruenta.
Il suo look è un po’ una delusione, se paragonato a quello del Carnefice della prima stagione: la nuova minaccia indossa, sopra maglietta e pantaloni, una semplice giacca a vento invernale, con tanto di cappuccio, maschera e passamontagna in grado di coprire la faccia. Assomiglia molto al killer di altri due slasher, “Urban Legend” (puro trash anni ’90) e il pressoché sconosciuto “Shredder”. Se non l’altro, la mancanza di originalità del villain nello scegliersi il vestiario è compensata dalla sua crudeltà omicida.
L’ambientazione è molto suggestiva: come già detto, c’è un bel contrasto con le scene ambientate in primavera e quelle in inverno, quasi tutte ambientate nel Campo Mot(os)ega. Quelle invernali sono prevalenti e molto belle: il paesaggio innevato, una baita spaziosa e accogliente…peccato che il serial killer rovina l’atmosfera. Sarebbe un posto perfetto in cui passare la settimana bianca, se fosse meno isolato dal resto del mondo. Inoltre la location mi ha ricordato molto un altro horror molto trash, “Wrong Turn 4: Bloody Beginnings” (in cui, ironicamente, faceva parte del cast Kaitlyn Leeb, che in questa serie interpreta Susan). Ammetto che il ricordo di quella perla (brutta, ma squisitamente trash) mi ha fatto sorridere.
Colonna sonora buona, la sigla di questa serie è molto accattivante, peccato che per “Guilty Party” la abbiano accorciata. Se devo lamentarmi per forza di qualcosa, allora il doppiaggio non mi ha convinto, riguardo alcuni personaggi. Ho preferito di gran lunga le voci della stagione precedente, “The Executioner”.
Durante i primi minuti del primo episodio, sentivo che mi sarei trovato davanti una storia vista e rivista, condita da tanto trash. Mi sbagliavo e neanche poco. La trama e i personaggi mi hanno intrigato, gli 8 episodi li ho divorati in poco tempo e hanno osato più del previsto nella violenza. Ho visto molti passi in avanti, rispetto alla prima stagione. Se l’acquisto della serie da parte di Netflix ha portato a questi miglioramenti, allora è stata una grande mossa.
P.S.: non andate a vedere per nessun motivo i titoli di coda in cui mostrano i nomi dei personaggi e dei loro doppiatori: ci sta uno spoiler gigantesco. Maledetti.