Ogni tot di mesi, Netflix rilascia una serie che diventa subito un fenomeno mondiale.
A parte “La Casa di Carta”, non ho mai seguito queste serie perché odio il mainstream.
Ho quasi fatto lo stesso con “Squid Game”, ma poi ho letto che ricorda opere come “Battle Royale” e “Alice in Borderland” e ho deciso di dargli una chance, anche perché non ho mai visto una serie TV coreana. Bisognava superare questo scoglio.
Beh, complimenti per aver creato una serie molto interessante. Ma soprattutto, grazie per aver rovinato la visione innocua con cui ho guardato i giochi per bambini in tutti questi anni.
Trama: Gi-Hun è un uomo pieno di debiti. Alla ricerca di un modo per guadagnare soldi, si imbatte in una grande occasione: se supera una serie di giochi contro altre persone, vincerà un enorme somma in denaro. C’è solo un problema: se perdi, muori.
Scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk, “Squid Game” (in originale “Ojing-eo Geim”) è una serie televisiva sudcoreana di genere survival drama, rilasciata su Netflix come sua opera originale.
I protagonisti sono alcuni dei partecipanti a una serie di giochi estremamente letali:
- Gi-Hun (Lee Jung-jae), disoccupato pieno di debiti e con il debole per le scommesse ippiche;
- Sang-woo (Park Hae-soo), uomo intelligente e dall’ottima carriera, costruita però sulla pelle di altri;
- Sae-byeok (Jung Ho-yeon), ragazza scappata dalla Corea del Nord;
- Il giocatore 001 (O Yeong-su), anziano malato terminale;
- Deok-su (Heo Sung-tae), un gangster;
- Alì (Anupam Tripathi), ragazzo pakistano costretto a lavorare sotto condizioni patetiche;
- Mi-nyeo (Kim Joo-ryoung), una donna strampalata che non conosce il significato di “moralità”;
Altri personaggi importanti sono Frontman, colui che supervisiona i giochi, e Jun-ho (Wi Ha-joon), un poliziotto che decide di indagare sul misterioso gioco. per motivi suoi
In alcuni episodi compare anche Gong Yoo, l’attore protagonista del bellissimo film zombie “Train to Busan”.
Il cast è interessante. I partecipanti principali sono totalmente diversi l’uno dall’altro, sia nella personalità che nel contesto da cui provengono. Alcuni di loro si rivelano persone migliori di quanto possa sembrare, mentre altri il contrario.
Se prima del gioco, Gi-hun sembra un vero e proprio cretino, durante la serie evolve in un personaggio con cui si riesce a simpatizzare, visto che è uno dei pochi che sembra reagire nella maniera più lucida agli eventi. Inoltre, sono sempre contento di avere a che fare con un protagonista “over”: abituati ormai a storie molto giovanili, vedere la trama dal punto di vista di un adulto è sempre una boccata d’aria fresca.
Essendo quasi tutti provenienti da un contesto sgradevole, non aspettatevi di vedere personaggi eroici, anche se alcuni si rivelano delle bellissime sorprese. Io, personalmente, nonostante alcune loro evoluzioni nel corso della serie, ho adorato quasi tutti. Per esempio, il vecchio giocatore 001 è un plot twist vivente, Alì è un cucciolo, mentre Mi-nyeo è una trashona di livelli catastrofici: ogni cosa che fa oscilla tra l’assurdo, il geniale e il cringe.
L’identità di Frontman è uno dei misteri principali della storia: chi potrebbe mai essere?
Se i disgraziati partecipanti ci mostrano la disperazione e l’angoscia di rischiare la vita durante i vari giochi, il poliziotto Jun-ho ci coinvolge nella parte più “giallo” della serie, grazie alle sue indagini.
La serie inizia con il ritratto della vita bellissima di Gi-hun: passa le giornate a bighellonare, fregare soldi alla madre, scommettere sulle corse dei cavalli e a scappare dai creditori. Una vita meravigliosa, oserei dire.
Dopo un’ennesima esperienza molto sfortunata, Gi-hun si ritrova in una condizione di estrema disperazione: o trova un enorme somma di denaro in poco tempo, o farà una brutta fine.
Un incontro fortuito farà entrare l’uomo in una strana competizione: la posta in gioco è altissima: il vincitore potrà tornare a casa con miliardi di won (la valuta coreana), ma i perdenti moriranno.
Essendo più di 400 a gareggiare, la premessa è un bagno di sangue.
In cosa consiste la competizione? Superare una serie di giochi per bambini, come “Un, Due, Tre, Stella” (che in realtà sarebbe “Un, Due, Tre, Stai Là”, ma dettagli), con l’aggiunta di un twist mortale. Appena perdi al gioco, vieni ucciso dallo staff. Chi supera il sesto e ultimo gioco, vince i soldi.
Alla fine di questa serie, non riuscirete più a guardare questi giochi, un tempo innocenti, con gli stessi occhi di prima.
L’organizzazione del Gioco è veramente strana, visto che garantisce un minimo di protezione e cura nei confronti dei partecipanti, ma più si va avanti, più si capisce che alcuni di loro vengono “favoriti”. In alcuni casi, inoltre, le regole cambiano per puro sadismo. Perché questa gestione assurda del Gioco? Le risposte verranno fornite solo alla fine, attraverso alcune rivelazioni abbastanza inaspettate.
Conseguentemente al proseguo del Gioco, assisteremo anche all’evoluzione (anche se è più appropriato parlare di “deterioramento”) delle personalità dei giocatori: nessuno sarebbe in grado di reggere mentalmente una cosa del genere, nemmeno quelli con la psiche più granitica del mondo.
Ogni episodio è un inno all’ansia, vista la continua probabilità di perdere un personaggio importante o magari qualcuno a cui ci si è affezionati tanto. Visti i ritmi forsennati, soprattutto durante i giochi, non ci si annoia mai: ci sono alcuni episodi che durano più di 50 minuti, ma la cosa non pesa affatto.
Di questa serie mi piace soprattutto la capacità di unire diverse atmosfere, come il drama (le scene in cui personaggi raccontano la loro vita), il thriller/mystery (le indagini di Jun-ho e quando si entra nel vivo dei giochi) e persino l’horror. “Squid Game” è di certo la risposta coreana ad opere come “Battle Royale”.
Ah, non pensate che sia una serie solo violenta e sanguinolenta, perché c’è un elemento di critica feroce nei confronti della società, soprattutto quella “dominante” e ricca. Ci sono dei messaggi rappresentati in maniera brutale, ma efficace.
La sceneggiatura è di buon livello: i dialoghi sono interessanti e aiutano a capire qualcosa in più dei protagonisti. La storia scorre bene, grazie ai continui colpi di scena e all’alternarsi di più prospettive.
I personaggi rimangono impressi nella mente e persino quelli più negativi sono dotati di grande carisma. Attenti a non affezionarvi troppo, però, potreste rimanerci malissimo.
Da grande ignorante della cultura coreana, mi sono divertito a conoscere alcuni dei giochi a cui sono soliti giocare i bambini: sì, “Un, Due, Tre, Stella” è un classico mondiale, ma non avevo mai sentito parlare del gioco del caramello, oppure di quello del calamaro (in originale “ojingeo”). Quindi, questa serie ha anche svolto una funzione culturalmente educativa.
Essendo un gioco al massacro, “Squid Game” non si risparmia in violenza. C’è molto sangue, le uccisioni sono cruente, nonostante alcune non vengano mostrate in pieno. Tra violenza e drammaticità di alcune morti, la vostra emotività verrà distrutta senza pietà.
Il gioco si svolge all’interno di una struttura molto grande, che comprende le arene per le sfide, alloggi dello staff e camere riservate a VIP e a Frontman. La varietà di stile delle varie zone rende l’ambientazione molto interessante e colorata.
Nelle scene dedicate alle vite dei protagonisti, viene mostrata maggiormente la parte più “povera” della Corea del Sud, molto umile e problematica.
Due menzioni speciali: la bambola usata per il gioco di “Un, Due, Tre, Stella” è veramente inquietante.
La seconda riguarda le divise dello staff del Gioco: ricordano lievemente le tute dei protagonisti de “La Casa di Carta”. Hanno pure una maschera che copre il loro volto, anche se è totalmente diversa da quella di Dalì e meno male, sennò scattava l’accusa di plagio.
Colonna sonora abbastanza in linea con il mood della serie: le tracce contribuiscono a suscitare angoscia e disperazione.
Stranamente, “Squid Game” non è doppiato in italiano. Ci sono solo le voci originali e quelle in inglese. Ne ho approfittato per ascoltare per la prima volta un’opera intera in coreano. A livello di pronuncia, è molto diverso dal giapponese, ma ha una sua musicalità ben distinta.
“Squid Game” è destinato a diventare la nuova serie fenomeno di “Netflix” e a me sta bene. La storia è molto interessante e coinvolge, i personaggi sono accattivanti e molto ben recitati (secondo me).
Certo, ora non vorrò più giocare a giochi di gruppo, compresi quelli per bambini perché ho paura che sbuchi un tipo mascherato e mi freddi con un colpo di pistola…ma sono dettagli.
Chissà se faranno un seguito. Le premesse ci potrebbero pure essere, ma dovranno realizzare una sceneggiatura molto buona o almeno di pari qualità rispetto alla prima stagione. Non voglio che faccia la stessa fine de “La Casa di Carta”.
Mi interessa ma ho letto talmente tanti survival oltre al famoso “Battle Royale” che ho fatto indigestione. Magari quando sarò un po’ nel mood me la recupero 🙂