Per una serie di motivi che non sto ad elencare, sennò parte un papiro noioso, ho deciso di fare la mia presentazione finale, qui a Sendai, (e anche la mia tesi di laurea magistrale) sulla letteratura giapponese del disastro.
Il Giappone, nel corso dei secoli, ha vissuto una serie di catastrofi terribili: il cataclisma del 2011 nel Tohoku, proprio dove sto vivendo io, e la scossa del 2018 a Osaka sono solo gli ultimi di tanti.
A causa di ciò, sono state scritte un sacco di opere letterarie, che siano romanzi o racconti brevi, con protagonista il terremoto o lo tsunami e il Giappone che subisce ingenti danni. Tra opere più o meno realistiche e altre più di fantasia, si è accumulata una vasta produzione sull’argomento da parte di autori (tra cui persino Haruki Murakami, che ha scritto una raccolta di storie ambientate subito dopo il terremoto di Kobe del 1995), spinti da vari motivi: c’è chi, dopo aver assistito in prima persona al disastro, cerca la terapia del sé, esorcizzando i propri traumi, oppure chi vuole aiutare le zone colpite, donando a esse i profitti delle loro opere; c’è anche chi coglie la palla al balzo per attaccare il governo giapponese, reo di non essere stato in grado di preparare dei sistemi abbastanza efficaci per proteggere la popolazione da questi attacchi ormai frequenti da parte di Madre Natura.
Ancora mi chiedo perché in Italia si sa poco o niente di una propria letteratura del disastro moderna: potrebbe portare a qualcosa di molto buono, viste le situazioni in cui versano ancora le zone colpite dagli ultimi terremoti.
Meglio che sto zitto, va.
Tornando alla letteratura giapponese…ovviamente non sono solo i romanzi ad avere il cataclisma come protagonista; ci sono anche film, serie tv, anime, manga e videogiochi.
L’ultima opera che tratta di questo argomento è “Japan Sinks: 2020”, anime targato Netflix.
Come ogni altra produzione letteraria, questa serie animata riesce nel suo intento: mostrare questo lato terribile del “perfetto” Giappone, trasmettendo le proprie ansie e paure.
Curioso il tempismo con cui è uscita questa serie: tra poche settimane ho la presentazione sulla letteratura del disastro e questo anime è stato da poco rilasciato sulla piattaforma. Grazie di cuore, Netflix. Ho qualcosa in più su cui parlare. <3
…e altre notti insonni a causa delle mie paranoie sui terremoti.
“Japan Sinks: 2020” è una miniserie animata prodotta da Netflix, diretta da Pyeon-Gang Ho e Masaaki Yuasa e animata dalla Science Saru.
Questo anime si basa sul quasi omonimo romanzo (in originale, “Nippon Chinbotsu”), scritto da Komatsu Sakyo e uscito nel 1973, da cui sono già stati tratti due film e una serie televisiva.
La terribile storie ha come protagonisti, principalmente, i membri della famiglia nippo-filippina Muto: la madre Mari, il padre Koichiro, la figlia Ayumu e il figlio Go. Altri personaggi sono lo youtuber estone KITE; Koga, senpai di Ayumu e amico di famiglia; Nanami, altra senpai di Ayumu; il vecchio scorbutico Kunio e l’esuberante Daniel.
I personaggi sono tutti interessanti, pieni di sfumature, anche se alcuni appaiono di meno. Si finisce in fretta per fare il tifo per quasi tutti loro, anche Ayumu, quando non ha attacchi di acidità emotiva: in alcune scene da il peggio di sé. Vabbè, ogni anime tende ad avere un/a protagonista a tratti insopportabile. Anche suo fratello ha messo la mia pazienza a dura prova, ogni volta che ostentava il suo bilinguismo. I genitori, invece, li ho trovati adorabili e divertenti.
KITE è pieno di sorprese fino all’ultimo secondo, letteralmente. Anche Koga è interessante, comincia in un modo e sviluppa in maniera totalmente inaspettata. Grazie a Nanami, abbiamo anche momenti coatti di combattimento che non guastano mai, mentre Daniel è letteralmente un simpatico clown.
Poi c’è Kunio, il vecchio più scorbutico degli ultimi anni di anime. Quanto è irritante e problematico.
La storia è semplice quanto disastrosa: sono appena finite le olimpiadi di Tokyo 2020 (ahahahah…peccato non ci siano state, in realtà) e l’atleta Ayumu si sta preparando per la prossima edizione, insieme al suo gruppo di atletica.
Sembra una giornata tranquilla, come molte altre.
Poi avviene una scossa, abbastanza forte.
Per i giapponesi, è abitudine. Ci sono decine di scosse al giorno, lungo l’intero arcipelago.
Poi però suonano gli allarmi dei cellulari. Sta per arrivare una scossa più forte.
Molto più forte.
Pochi secondi e l’intero Giappone viene quasi distrutto e migliaia di vite spezzate via.
Ci sono solo macerie, intorno. Dove possono andare i superstiti?
Ayumu riesce a fuggire dallo stadio e a riunirsi, in qualche modo, con la sua famiglia, compresa la madre, atterrata proprio in quelle ore in Giappone.
La sopravvivenza estrema ha ora inizio.
Ogni puntata vede Ayumu e gli altri superstiti cercare il riparo temporaneo migliore, prima che la natura peggiori ulteriormente la situazione: il terremoto gigantesco, infatti, ha stravolto per sempre la geologia del Giappone, rilasciando anche vari pericoli come gas tossici e radioattività.
Nessun posto è sicuro, a lungo andare.
Sarà possibile per i superstiti, trovare un vero rifugio o un modo per abbandonare il Giappone prima che sia finita?
Ogni episodio è un inno all’angoscia: il pericolo e la morte sono in agguato, ogni minuto potrebbe essere l’ultimo per i personaggi. Anche se immaginavo alcune svolte della trama, non sapevo come sarebbero avvenute perché succede qualcosa in ogni scena.
Sarà che ho guardato questo anime mentre sono ancora in Giappone, ma ho sentito la paura dei terremoti farsi più acuta in me. Ok che questo anime è fantasia, ma…fino a che punto?
Serve tanta forza interiore per arrivare alla fine di questa storia. Più si raggiunge il finale, più la disperazione raggiunge il limite, proprio come il Giappone, dopo una serie di cataclismi terrificanti.
Ovviamente, l’atmosfera è quasi assolutamente drammatica. Ci sono certe scene struggenti che mi hanno fatto stare male per tutto il giorno. Tuttavia, si cerca di mettere un sorriso agli spettatori, anche nei momenti più bui, grazie ad alcune scene ironiche e personaggi folli.
Un elemento che mi è piaciuto molto è la presenza della critica sociale. Come in molte altre opere della letteratura del disastro, l’autore critica in maniera più o meno palese un elemento della società o della politica giapponese, colpevoli di aver rovinato il Paese.
Il bersaglio di “Japan Sinks: 2020” è ovvio: la parte marcia della popolazione, quella avida, egoista e vigliacca, che pensa solo a sopravvivere, arrivando persino a lasciare altri a morire, oppure la feccia della società che vuole approfittare della “morte” delle regole per fare quello vuole, superando i limiti della moralità. Ci sono state alcune scene che hanno fatto molto male.
Nemmeno il nazionalismo giapponese è rimasto immune alla critica, anzi è stato colpito in maniera abbastanza brutale. Mi ha ricordato un po’ la situazione italiana…
D’altra parte, però, l’ottimismo energico in perfetto stile giapponese fa continuamente capolino, grazie alla speranza di una rinascita per il Paese. Sarà davvero il caso di questa storia? Si potrà rinascere? Il messaggio di speranza è molto importante, non solo per l’anime, ma anche per la situazione mondiale attuale.
Unica cosa che mi ha fatto storcere un pochino il naso è stata la poca plausibilità di alcuni eventi. Non sto parlando delle catastrofi, ma di come avvengono alcuni incontri o colpi di scena. Non ci ho visto molto realismo.
La sceneggiatura mi è piaciuta. La storia è semplice, scorre bene e ha dei colpi di scena molto efficaci.
I personaggi riescono a essere interessati, con i loro pregi e difetti.
Chi è suscettibile alla violenza avrà qualche leggero problema, guardando questo anime: vista la tematica, ci sono moltissime morti, alcune in maniera molto violenta e tragica. Serve molta forza emotiva.
Qualcuno troverà la grafica molto familiare.
Indizio: “Devilman Crybaby”.
Infatti, lo studio di animazione è lo stesso. Lo stile è abbastanza distinguibile. Se i personaggi sembra che siano stati disegnati in maniera approssimativa, i paesaggi sono di una bellezza mozzafiato. Ho dovuto rimettere indietro solo per riguardare alcune montagne, il mare, gli alberi.
Per fortuna non hanno esagerato con la violenza, come in “Devilman Crybaby”, e hanno concentrato più energie sulle ambientazioni. Ottimo lavoro.
Colonna sonora al livello giusto. Molto semplice, ma efficace. Le sigle di apertura e chiusura sono molto piacevoli.
Ovviamente, ho visto questo anime in lingua originale e ne sono molto felice: ho capito molte cose (anche se tenevo sempre i sottotitoli in italiano) e le varie parlate mi sono piaciute, come sempre.
“Japan Sinks: 2020” è un anime davvero tosto, serve un’emotività resistente per vederlo senza rimanere impauriti per giorni. Io lo avrei visto comunque, anche se non mi fosse stato utile per la ricerca. Devo esorcizzare, in qualche modo, le mie ansie.
Si tratta, comunque, di un prodotto ben fatto, in grado di coinvolgere e di affascinare, grazie alla sua grafica, ma soprattutto, lancia forti messaggi.
Se vi è piaciuto questo articolo, lasciate un link e/o commentate!